lunedì 7 novembre 2011

Spendere per mangiare


In tempi di spread, credit default swap e IVA al 21%, può sembrare un argomento marginale, nell’ambito dell’ampio dibattito sulla crisi italiana, affannarsi su quanto ci costa, mensilmente, andare a cena fuori.
Apro un numero qualsiasi (pubblicato a metà ottobre) del supplemento settimanale di un noto quotidiano (di sinistra, tra l’altro) e leggo la rubrica dedicata al cibo, accuratamente inserita in spazi edonistici chiamati, di volta in volta, “dolce vita”, “piaceri” et similia.
Vado subito al fondo della pagina: costo di un pasto-tipo (vino escluso) 55 euro. La chiosa finale dell’articolo, peraltro molto ben scritto, mi impone velocemente di abbandonare l’idea di provare le delizie di quel ristorante. Incuriosito, tento un’indagine, priva di qualsiasi pretesa di completezza, sfogliando le rubriche enogastronomiche di altri giornali, generalisti e rivolti a un pubblico ampio, ottenendo più o meno gli stessi risultati: almeno 30 euro per mangiar fuori e il vino è sempre, rigorosamente escluso.
A chi si rivolgono queste rubriche? Alla generazione degli indignados, pronti a bruciare una sostanziosa fetta dei loro magri stipendi mensili in ricche libagioni? O forse ai travet della classe media, stipendio di milletrecento euro al mese, che non vedono l’ora di passare un’allegra domenica in famiglia portando anche i figli a fare una gita fuori porta con pranzo incluso, per la modica cifra di duecento euro?
Non ho risposte, però continuo a sfogliare le pagine di questi settimanali patinati e noto che lo “spendere per mangiare” è inserito con cura tra una pagina di tecnologia, che celebra le meraviglie e l’insostituibilità, nella nostra vita, dell’ultima versione dell’iPad (a partire da 500 euro, ma vuoi mettere l’importanza di essere sempre connessi?) e una pagina dedicata ai viaggi esotici (il tramonto sul lago Bajkal in primavera è impedibile).
Forse leggere queste rubriche ci aiuta a crederci ricchi, o quantomeno ancora benestanti (qualcuno potrebbe obiettare che non lo è mai stato!); potrebbe essere una piacevole illusione che ci migliora l’umore. Più probabilmente invece questo continuo solleticare delle voglie che non possono essere soddisfatte, aumenta una frustrazione latente, che la televisione amplifica proponendo modelli irraggiungibili ai più. Prigionieri di uno stile di vita basato sul mostrare agli altri quanto contiamo (monetizzando sempre e comunque questo valore), ci condanniamo a “spendere per mangiare” per dimostrare di valere.