lunedì 25 aprile 2011

Esuli, migranti, viaggiatori

    In memoria degli esuli morti in mare e perché tutti quelli che hanno perso o hanno lasciato una patria e una casa possano trovarne un'altra, magari più accogliente di quella che hanno abbandonato
    IN MEMORIA 
    Locvizza il 30 settembre 1916
    Si chiamava
    Moammed Sceab
    Discendente
    di emiri di nomadi
    suicida
    perché non aveva più
    Patria
    Amò la Francia
    e mutò nome
    Fu Marcel
    ma non era Francese
    e non sapeva più
    vivere
    nella tenda dei suoi
    dove si ascolta la cantilena
    del Corano
    gustando un caffè
    E non sapeva
    sciogliere
    il canto
    del suo abbandono
    L’ho accompagnato
    insieme alla padrona dell’albergo
    dove abitavamo
    a Parigi
    dal numero 5 della rue des Carmes
    appassito vicolo in discesa.
    Riposa
    nel camposanto d’Ivry
    sobborgo che pare
    sempre
    in una giornata
    di una
    decomposta fiera
    E forse io solo
    so ancora
    che visse  
    G. Ungaretti

venerdì 22 aprile 2011

L'intensità


Non è l'intensità che cambia, ma il tempo che abbiamo da dedicarle.

Anni e anni fa trascorrevamo ore e ore a parlarne, notti insonni a scrivere e riflettere, annotare ogni sensazione..non c'era un'emozione che non lasciasse
traccia.

Poesie, lacrime, ascolti, musiche..in voli, quei meravigliosi voli a cui davamo spazio e tempo, forma in ogni modalità possibile nelle nostre capacità.

L'intensità ancora la riconosciamo ed è per questo che non ci siamo fermati.

Ancora cavalli e cavalieri in riva a rive che sognamo e attendiamo, con spume di fresco che bramiamo...e lo sguardo all'orizzonte.

Ci raccontavamo di esserci rinchiusi in gusci indistruttibili...inconsapevoli di essere ancora vulnerabili.

Ora ci raccontiamo meno..eppure abbiamo scudi impercettibili.

Corriamo e corriamo, fingiamo e fingiamo, senza aver tempo a volte per concederci uno specchio che ci rifletta la nostra immagine reale, a volte ci facciamo anche un po'
schifo per la tremenda adattabilità ad una società che in qualche modo ci ha involutamente plasmato.

Eppure l'intensità, ancora si, quella la sappiamo annusare, l'avvertiamo nell'aria, nel battito cardiaco...nel timore, quel brivido meraviglioso che stenta a crederci...in quell'istante si manifesta.

Quante volte ancora mentiremo a noi stessi e quante altre ancora ci stupiremo, protagonisti di mille incanti.

Adoro non avere certezza del domani.

Eppure a volte desiderererei avere una mano ferma e ritrovarla ad ogni risveglio...ed avere una costante emozione in perenne evoluzione, magicamente nutrita di albe e nuovi colori.

L'intensità.

Claudia Liccardo

mercoledì 13 aprile 2011

"Non riusciamo a starci dietro"



Non riusciamo a starCI dietro.
Non sappiamo piu' aspettare, ormai è tutto troppo veloce, istantaneo, momentaneo, attimi infiniti se sono di attesa...che si tramutano velocemente in ANSIE...ansie...3000 ansie diverse in pochi minuti....shhhh....silenzio....fermatevi...shhhhh...spegnete tutto e fermatevi.

Pensate ai tempi delle lettere (e non parlo del 1800, ma appena di 10-15 anni fa).....invii una lettera ad un/a amico/a, se è il/la fidanzato/a ci aggiungi anche una goccia del tuo profumo...e quando dopo qualche giorno (Poste Italiane permettendo) arriva a destinazione, il destinatario aprirà quella lettera tanto attesa, semmai l'annuserà.....sarà felice....se vorrà la rileggerà e poi la terrà un po' tra le mani.....poi cercherà e troverà il tempo per fermarsi, prendere un foglio, una penna...e rispondere....mentre lo farà sarà da solo, con un sottofondo musicale semmai....ma non andrà di fretta, non starà facendo altre 100 cose mentre scrive...porrà attenzione verso un'unica cosa, verso una sola persona....poi si prenderà la briga di imbustarla, scriverci l'indirizzo, uscire, comprare un francobollo e spedirla...ed inizierà un'altra dolce attesa per qualcuno..

Tra un'attesa e un'altra c'era la vita REALE di mezzo. E semmai c'erano anche le telefonate, sui numeri di casa (ormai in via d'estinzione), poi sui cellulari (quando ancora non compariva il numero del chiamante se il Gestore telefonico non era lo stesso! Parlo del 1997, 12 anni fa!). Le lettere le scrivevamo per confidarci un po' di piu'...o per risparmiare sulle telefonate addirittura... o per quelli che senti una volta ogni tanto e ti racconti le cose piu' importanti...quelli che anche se non vedi e non frequenti sai che "ci sono" comunque.

Tempo e attenzione per una persona alla volta. Attesa.

Poi è arrivato il cellulare...e in poco tempo è diventato un prolungamento del corpo umano.
Vi ricordate ancora quando chiamavate a casa di qualcuno e a casa non c'era....e il cellulare ancora non esisteva...cosa accadeva?? Lasciavate semmai un messaggio a chi rispondeva o un messaggio in segreteria e si ATTENDEVA...e in quell'attesa eravamo OBBLIGATI a gestire le emozioni anche se dovevamo comunicare alla persona qualcosa di importante...noi SAPEVAMO ASPETTARE...avevamo tempo per pensare di piu'...per gestire i nostri eventuali conflitti...o per non far caso all'assenza di qualcuno. Ma non mi pare che eravamo tutti pazzi isterici. Ci andava bene così..
Adesso se ti chiamano e non prende il cellulare o è spento...chi ti chiama pensa sia successo qualcosa di assurdo, forse ti hanno rapito, forse chissà dove sei, forse sei in pericolo...
Sempre e ovunque REPERIBILI...sempre e ovunque in "condivisione dell'emozione"...succede X, non devi aspettare di tornare a casa per parlarne, neanche il tragitto piu' ce lo facciamo con noi stessi, no...chiami, mandi un sms e subito comunichi l'emozione al/alla tuo/a amico/a...
CONDIVISIONE PERENNE...MALE, MALE MALE..(anche perchè già siamo abbastanza bombardati da messaggi di tutti i tipi, subliminali e non)

Poi l'avvento delle email....addio profumo, addio scrittura, addio colorare carta da lettere, ma ancora sapevamo dedicarci ad una persona alla volta, in maniera diversa naturalmente.

Poi la chat....la chat...quante ne ho vissute e ne vivo con questa amata/odiata chat.
Penso che prima di metterci sotto mano nuovi mezzi di comunicazione debbano darci le ISTRUZIONI PER L'USO. E invece non accade.
La chat...tutti insieme, tutti nello stesso "posto" booooooooooooooooooooooooooooooooooooooooom...attaccati allo schermo ma insieme....
Salto l'uso della chat per conoscere nuove persone perchè mi servirebbe un altro blog per dare il giusto peso all'argomento!

E quindi ci ritroviamo con un programmino che ci "avvicina" ai nostri amici lontani...si...io spesso mi ritrovo ad avere 30 amici on-line nello stesso momento e chatto con una sola persona..tutti gli altri sono lì...ci vediamo, ma nessuno si caga, pero' se vuoi "siamo qui nel caso dovessi averne bisogno"...anche se non parliamo possiamo vedere che musica ascoltiamo, davvero interessante!

La privacy sembra un lontano ricordo.
Poi ci sono naturalmente i social network...ok, si, in realtà volevo andare direttamente a parlare di Facebook, sorvolando MySpace, Netlog e quant'altro... perchè l'ho provato, l'ho VOLUTO provare...e ne sono stata anche coinvolta, a volte troppo.
Facebook è l'emblema forse dell'attuale "società sociale": sempre/ovunque, visibilità, "fatevi i caxxi miei", guardate la mia vita.
L'ho analizzato come meglio ho potuto, poi l'ho lasciato quando ho iniziato a constatare che anche chi aveva il mio numero di cellulare, la mia email, il contatto Messenger...utilizzava Facebook per comunicare, anche se eravamo connessi su Messenger nello stesso momento....il cellulare ormai sembra quasi si usi solo per chi si trova nelle vicinanze o quando si avvicina il momento dell'incontro/rincontro (semmai avvenuto proprio grazie a facebook).

Per un attimo ho pensato: cacchio, Fabook sostituirà chat, email...se non mi connetto non posso comunicare con alcuni amici...ok: ora VOMITO, e poi cancello l'account. E così è stato :) (e tra l'altro a differenza di tutti gli altri siti in cui basta un clic per non esserci piu', qui ci vogliono 14 giorni per cancellare definitivamente l'account e se nei 14 giorni provi ad entrare nuovamente, non sarà piu' cancellato...psicologicamente parlando credo sia un messaggio molto forte: "Sei proprio sicuro sicuro?? Ti lasciamo 2 settimane di tempo per rifletterci bene....sei certo di non voler piu' sapere cosa fanno i tuoi amici vicini/lontani? che foto pubblicheranno domani? Pensaci, puoi tornare ancora indietro....Facebook non ti abbandona con un solo clic!").
Nomi e cognomi reali al 90%, ritrovi è vero amici persi da anni, persone con cui sei andato a scuola, ma anche persone che semmai non hai piu' cercato....te le trovi lì e incuriosito dal sapere che fine abbiano fatto li includi nella tua "rete di amicizie". Ti ritrovi ad AGGIORNARE di continuo la tua vita a una marea di gente...e sottolineo gente perchè alla fine sono "conoscenti"...sembra che sei per strada...e incontri persone che non vedi da anni e accenni ai cambiamenti degli ultimi anni (da che non vi sentite): se con quelle persone ritrovi un feeling semmai vi fermate a prendere un caffè per meglio raccontarvi, altrimenti no, e proseguite (in tutto cio' immaginatevi con un megaalbum di foto in mano! e la lista dei vostri amici!)...poi altro incontro, altre chiacchiere/aggiornamenti....beh: A CHE ORA ARRIVERETE A CASA?
(Intendete la metafora?)
Aggiorni la tua vita, non la stai analizzando, ne fai un resoconto veloce ad un amico di passaggio...
La vita è fuori da questo caxxo di pc! La vita SOCIALE è soprattutto fuori da questo schermo che dopo qualche ora ti dà anche fastidio agli occhi! gli occhi di qualcuno non stancheranno mai i tuoi! C'è una bella differenza, c'è un flusso di emozioni che lo schermo non puo' darti..
In piu' lo schermo spesso diventa uno scudo: "il guerriero dietro lo schermo" spesso è una formichina dal vivo.

Ognuno mette le sue foto, in cui ci sono amici e amici di amici, segnala le persone presenti in quelle foto e nello stesso istante in cui lo fa, a chi è stato segnalato compare la foto nel suo album.
"One family!!"

Sembra che il fondamento degli ultimi tempi sia: ESSERCI inteso comeESSERE ON-LINE, ESSERE CONNESSO e se non lo sei, dare quanti piu' input possibili per far sapere che SEI Lì anche tu...sappiamo tutto di tutti in ogni momento...ma il cervello umano non è mica un pc!!
Non possiamo stare dietro a tutti...non possiamo gestire tutte queste relazioni nella maniera in cui MERITEREBBERO di essere gestite..qualitativamente parlando...erano meglio i tempi delle lettere, anche delle email...e la fase iniziale della chat.
Io le ho provate tutte :)

Questo ESSERCI sempre è come essere sempre al bar, in un bordello, un macello di input, musica, emozioni tramandateci da canzoni, comunicare immediatamente quello che ci succede senza a volte neanche DIGERIRLO per un attimo da soli, prima comunichiamo al "mondo", poi semmai ci pensiamo. Sia chiaro che sto un po' generalizzando, ma ci tengo a sottolineare che non è così per tutti; pero' per molti vedo che è così e mi dispiace.

A volte personalmente sento l'esigenza di NON ESSERCI, di staccare tutto...e quando lo faccio sto meglio...è per questo che ne scrivo, per darvi il mio punto di vista e darvi la possibilità di pensarci se non l'avete mai fatto.

DOSARE
Io doso
Tu dosi
Egli dosa
Noi dosiamo
Voi dosate
Essi dosano"


lunedì 11 aprile 2011

L'uomo in più: questo sconosciuto.


L’uomo in più.
Un film che è un capolavoro assoluto.
Un film che chi lo ha visto lo ha amato.
Un film che è troppo sconosciuto.
Non si può non rendere onore a Sorrentino per questo film.
Questa non è una recensione, è un osanna a questo lungometraggio.
Due personaggi, stesso nome, caratteristiche e caratteri opposti.
Due modi diversi di affrontare il successo e il declino, due persone fondamentalmente deboli, insicure, come la maggior parte di noi, che affrontano la vita come meglio sanno fare. La vita ci pone davanti a delle scelte e delle situazioni che affrontiamo quotidianamente e cerchiamo di farlo alla nostra maniera, pensando che sia quella migliore.
Con i nostri stessi occhi è difficile guardare i nostri errori e ancora di più ammetterli.
Con i nostri stessi occhi è difficile capire chi è la persona di cui ci possiamo fidare, e ancora più difficile comportarsi sempre in modo che lei si possa fidare di noi.
Ma quando poi ci rendiamo conto di alcune cose, la reazione può essere inaspettata.
Nel film i due personaggi sono interpretati benissimo da Toni Servillo e Andrea Renzi; gesti, abitudini, movimenti ma soprattutto parole e modo di parlare ci fanno entrare in una realtà parallela, dove abbiamo a che fare con uomini veri e non con attori. Tutti i personaggi che girano intorno ai protagonisti sono vicini a noi: li incontriamo nei bar, per strada, in ufficio. Ci sono personaggi viscidi, mediocri e personaggi semplici, forse pure un po’ all’antica, che forse sono la parte più sana della società descritta. La critica spietata al mondo del calcio e dello spettacolo si fonde, senza dover trovare colpi di scena eclatanti, nella descrizione dei momenti di vita quotidiana dei protagonisti, che si ritrovano spesso in completa solitudine. La timidezza e la sobrietà di Antonio Pisapia viene congelata in due parole, quando in televisione riceve i complimenti per un goal in rovesciata lui ribadisce: “mezza rovesciata”. La strafottenza e la spavalderia di Tony Pisapia viene espressa magistralmente nel lungo monologo finale, ma bastano anche qui tre parole, che vengono ripetute varie volte nel corso del film: “mi sono svegliato tardi”, quando motiva alla figlia la sua assenza al funerale del padre.
Il film è un cult per i fan di Sorrentino, ma in generale per i cacciatori di citazioni… Non c’è frase che rimanga dimenticata, non c’è espressione che non diventi icona; l’ambientazione napoletana, inoltre, facilita l’immaginazione (per chi è della zona) nella costruzione della connessione fra i due, punto che fino alla fine lascia in bilico lo spettatore.
Insomma, iniziamo con la meritocrazia: questo è un filmone!
Il molosso

sabato 9 aprile 2011

Complotto, doppio complotto e controcomplotto

Dura la vita del complottista.

In quest’epoca malata diffidare dalla verità ufficiale diventa una virtù. Nel millennio dell’informazione non ci si può più attenere alle notizie dei quotidiani, dei telegiornali, delle radio, del web, del televideo. È tutto uno sporco gioco di interessi. Sfogli il Giornale e la Repubblica e trovi le stesse identiche notizie, seppur poste in ottica completamente opposta.
Ma qual è la verità?
Possibile che la realtà oggettiva possa scindersi in più realtà soggettive creando infiniti universi paralleli? Più leggo e più sono assalito dai dubbi. Le Torri Gemelle? Ma chi le ha fatte crollare? Bin Laden esiste davvero, o è un ologramma? Perché quegli ebrei non sono andati a lavoro l’11 settembre? Ti sembra plausibile che gli americani si bombardino da soli? Hanno dimostrato fisicamente che un aereo non può far crollare un grattacielo, eppure… Beppe Grillo? È buono o cattivo? E Casaleggio? E Travaglio? Perché questi personaggi tacciono su banche e signoraggio? De Magistris? L’ex magistrato si è dato alla politica e ha litigato furiosamente con Grillo. Allora uno dei due mente. Per forza. Obama? Il primo presidente negro come ha racimolato i soldi per una campagna elettorale di un anno e mezzo? È vero che prima faceva rap? Era nella Scull & Bones? E il Bilderberg? E Di Pietro? Da eroe di tangentopoli a federalista convinto? E i rettiliani di David Icke? E Zeitgeist?
Io credo solo al primo e fino al minuto 4.15 della sesta puntata del secondo, poi basta. Il terzo non l’ho nemmeno visto. È tutta una manovra della Siemens. All’inizio tutti sembrano aver ragione e poi sembrano trasformarsi in grandi truffatori. A volte penso che quando questi personaggi diventano troppo famosi vengono comprati per confondere le idee ai loro seguaci. Altre volte penso che sono proprio un coglione a leggere tutte queste sciocchezze. Vado in edicola pieno di pensieri, resto imbambolato davanti la vetrinetta, indeciso se prendere la Repubblica o il Giornale. A chi darò il mio euro? Chi dirà il vero? È una scelta difficile, ho bisogno di tempo. Il giornalaio mi sorride beffardo dall’alto della sua pedana… Lui sa. Nei suoi occhi brilla uno sguardo di sfida, lui mi valuta. Lui è il giudice severo della mia coscienza. Non posso deluderlo. Giornale-Repubblica, Repubblica-Giornale. Basta, ho deciso. Con un gesto risoluto, quasi teatrale, compro Topolino.
N.B. fonte www.camminandoscalzi.it

sabato 2 aprile 2011

The University Deception

Anni spesi a inseguire un obiettivo, giornate trascorse a immagazzinare con rigore metodico date, nomi e formule, pomeriggi in cui un raggio di sole che batte sul bianco della scrivania e sui caratteri della pagina invita a una diserzione che non è altro che inseguire la vita.
Tanti di noi hanno dedicato agli studi universitari una parte importante della loro giovinezza, compressi da un sistema che ci ha rubato tempo e spazio, impedendoci spesso di guadagnare in libertà e apertura di pensiero. Quante lezioni nozionistiche e ripetitive abbiamo dovuto seguire per ottenere le parole che cercavamo, quelle che contavano, dalla bocca di un professore illuminato, però quanto ci hanno regalato quelle parole!
 
L’Università resta (perfino l’Università italiana) una formidabile palestra, ci fa crescere come cittadini, forma il carattere, oltre che le competenze professionali, accresce la consapevolezza di sé.
In un Paese in cui la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 30% (dati ISTAT 2011), l’età media dei laureati specialistici è di 28 anni (dati Almalaurea 2011), circa 2-3 anni in più della media degli altri paesi europei. Quegli anni in più, quel tempo sprecato, è il tempo del nozionismo, dei pomeriggi passati a ripetere ciò che dopo non servirà più, ciò che non migliora la nostra formazione (e forse neanche la nostra memoria a breve termine).

Quei 2-3 anni in più ci rendono più stanchi e più lenti dei nostri colleghi europei, ci rendono meno pronti a cogliere le (rare) opportunità che si presentano.
In un mondo del lavoro paralizzato, e schiavo di clientele e raccomandazioni, i 2 anni persi sono il primo dazio pagato… Ne seguiranno altri: la lentezza a inserirsi, il salario più basso rispetto alla media europea, la minore possibilità di cambiare impiego.
Anni fa si cercò di ovviare a questo gap tutto italiano introducendo il sistema del “3+2”, con una laurea di primo livello e una laurea di secondo, in grado – almeno in teoria – di creare i presupposti per abbreviare il percorso formativo e inserire più velocemente i giovani nel sistema produttivo del Paese.
Cosa resta oggi di quel progetto?

Giovani che terminano il primo ciclo universitario a 23-24 anni, con lauree dai nomi spesso fantasiosi e dalla spendibilità lavorativa il più delle volte nulla. La parcellizzazione degli insegnamenti ha alimentato l’ego ipertrofico di rettori e professori, frantumando di fatto la struttura dei corsi universitari. Non ci è stata risparmiata una sola briciola di nozionismo (semplicemente suddiviso tra i due livelli), non è stato stimolato il pensiero logico, non è stata incentivata realmente la formazione sul campo, è solo cresciuto in modo irrazionale il numero degli esami da affrontare.
In una situazione così complessa si inseriscono le risposte della Politica: un ministro del Welfare che alcuni mesi fa dichiara che i giovani devono essere più umili e accettare qualsiasi tipo di lavoro per far fronte alla crisi. Parole pleonastiche, dato che da anni molti giovani si sobbarcano fatiche che non hanno niente in comune con ciò che hanno studiato per anni.
Chi è pronto, in politica, ad assumersi la responsabilità di una riforma (quella del 3+2) che ha compromesso il destino lavorativo di molti studenti?
Chi è pronto, nei vertici del mondo universitario, ad assumersi le responsabilità di aver spacciato agli studenti prospettive di lavoro fasulle ben nascoste dietro corsi di laurea dai nomi altisonanti?
Chi è pronto, tra ricercatori e professori, a diventare consapevole del grandissimo potenziale umano e sociale del proprio ruolo, rimettendo al centro lo studente e la sua formazione?
E noi… Noi saremo pronti, quando verrà il nostro turno di operare nelle stanze dei bottoni, a non dimenticare ciò a cui pensavamo nei lunghi pomeriggi da reclusi, illuminati dal sole primaverile, e ciò per cui ci battevamo quando affollavamo le aule della nostra amata/odiata Università?