lunedì 7 novembre 2011

Spendere per mangiare


In tempi di spread, credit default swap e IVA al 21%, può sembrare un argomento marginale, nell’ambito dell’ampio dibattito sulla crisi italiana, affannarsi su quanto ci costa, mensilmente, andare a cena fuori.
Apro un numero qualsiasi (pubblicato a metà ottobre) del supplemento settimanale di un noto quotidiano (di sinistra, tra l’altro) e leggo la rubrica dedicata al cibo, accuratamente inserita in spazi edonistici chiamati, di volta in volta, “dolce vita”, “piaceri” et similia.
Vado subito al fondo della pagina: costo di un pasto-tipo (vino escluso) 55 euro. La chiosa finale dell’articolo, peraltro molto ben scritto, mi impone velocemente di abbandonare l’idea di provare le delizie di quel ristorante. Incuriosito, tento un’indagine, priva di qualsiasi pretesa di completezza, sfogliando le rubriche enogastronomiche di altri giornali, generalisti e rivolti a un pubblico ampio, ottenendo più o meno gli stessi risultati: almeno 30 euro per mangiar fuori e il vino è sempre, rigorosamente escluso.
A chi si rivolgono queste rubriche? Alla generazione degli indignados, pronti a bruciare una sostanziosa fetta dei loro magri stipendi mensili in ricche libagioni? O forse ai travet della classe media, stipendio di milletrecento euro al mese, che non vedono l’ora di passare un’allegra domenica in famiglia portando anche i figli a fare una gita fuori porta con pranzo incluso, per la modica cifra di duecento euro?
Non ho risposte, però continuo a sfogliare le pagine di questi settimanali patinati e noto che lo “spendere per mangiare” è inserito con cura tra una pagina di tecnologia, che celebra le meraviglie e l’insostituibilità, nella nostra vita, dell’ultima versione dell’iPad (a partire da 500 euro, ma vuoi mettere l’importanza di essere sempre connessi?) e una pagina dedicata ai viaggi esotici (il tramonto sul lago Bajkal in primavera è impedibile).
Forse leggere queste rubriche ci aiuta a crederci ricchi, o quantomeno ancora benestanti (qualcuno potrebbe obiettare che non lo è mai stato!); potrebbe essere una piacevole illusione che ci migliora l’umore. Più probabilmente invece questo continuo solleticare delle voglie che non possono essere soddisfatte, aumenta una frustrazione latente, che la televisione amplifica proponendo modelli irraggiungibili ai più. Prigionieri di uno stile di vita basato sul mostrare agli altri quanto contiamo (monetizzando sempre e comunque questo valore), ci condanniamo a “spendere per mangiare” per dimostrare di valere.

sabato 25 giugno 2011

Non c’e’ solo chi cerca lavoro

Il giovane attuale secondo me è un po’ traviato ormai.

Ma non riesce più ad ammetterlo, questo è il vero problema.
È come chiedere a qualcuno se ha votato l’attuale presidente del consiglio… Nessuno lo ammette!
Sono quelle cose strane ma che accadono e sono incontrollabili. Vi sto parlando del fatto che ormai questo neolaureato, questo diplomato, questo scuola-dell’obbligato, non puo’ più guadagnare mille euro al mese! Non può fare l’inserviente o l’operatore ecologico, non può usare le mani per lavorare!
Tra un aperitivo, una serata in discoteca, uno status su facebook da casa e uno dall’iphone è ormai sfuggito il senso del lavoro (“che non c’è“, voi direte), ma più di tutto il senso delle proprie possibilità. Ok è una banalità il fatto che tutti vivano al di sopra delle proprie possibilità; che la competizione, l’apparire appiattisce i bisogni – che diventano uguali per tutti i ceti – e che non tutti possono affrontare certe spese ma lo fanno lo stesso. Ma secondo me le banalità non vanno lasciate stare lì, a zonzo.
Allora ricapitoliamo: la gente si lascia condizionare e vuole tutto quello di cui non ha bisogno per un continuo apparire simile al vicino, al capo, a quello della tv.
Bene.
BENE?
Male! Ma le cose peggiori sono quando a essere travolti da questo tipo di crisi sono i famosi ragazzi “con la testa a posto”. Che si sentono fuori dal gregge. Si sentono così fuori che non possono fare quello che fanno gli altri. Si sentono superiori, si sentono limitati, sentono che la propria terra non offre niente, sentono che devono fuggire, sentono che devono avere posti di responsabilità, pensano che la responsabilità del matrimonio o di un figlio è pesante senza aver fatto ancora carriera, pensano, come insegna mediobanca, che il mondo giri intorno a loro.
Questo di sicuro non era un atteggiamento dei nostri genitori. Questa arroganza, questo protagonismo… Mi puzza!
Nel film “il padrino” c’è la frase mitica: “il potere logora chi non ce l’ha“. E ok, può essere.
Ma quanti esempi conosciamo di gente che invece di potere ne ha e ne viene logorata?
Ci sono persone capaci, persone fortunate e persone che impiegano la loro vita nel raggiungimento dei loro obiettivi. Onore a loro.
La mia potrebbe essere una questione stupida, ingenua.
Ma mi chiedo: se fossimo tutti più consapevoli di essere normali, se iniziassimo a pensare tutti di dover fare una vita da onesto lavoratore per 40 anni, vivremmo meglio?
Oppure i sogni aiutano a vivere?
Il punto è che questo nostro mondo nel quale dobbiamo essere tutti straordinari, tutti dobbiamo ostentare la nostra unicità, inevitabilmente ci rende tutti uguali. E allora tutte le ragazze si descrivono pazzerelle,  tutti i ragazzi pensano di essere bulletti o imprenditori in erba, mentre dietro di loro c’e’ tanta tanta insicurezza.
Il molosso

fonte: www.camminandoscalzi.it

sabato 11 giugno 2011

Il ballo dei pezzenti

Rispondete alla domanda: chi sta rubando la vostra fetta di gioia quotidiana? Non subito però, contate almeno fino a dieci e pensateci un po’, prima… Nonostante i dieci secondi e l’acuta riflessione, molti di voi si focalizzeranno, in maniera quasi immediata, su persone a loro prossime. Vicine, non però quanto ci si aspetterebbe: pochi in realtà hanno veri nemici, o persone che detestano in modo sincero e appassionato. In questa società dai sentimenti edulcorati non ci sono odii epici, l’oggetto di sfogo quotidiano è il vicino, quello poco conosciuto, magari solo intravisto, ma che ci ruba il posto in fila, la borsa di studio all’università, l’opportunità di un buon lavoro sottopagato.
Non è un caso che ciò accada: è bensì il risultato, cercato con insistenza e infine ottenuto, da chi ci governa e controlla i grandi mezzi di comunicazione. Le elite politiche e imprenditoriali hanno compreso da un bel po’ che non c’è niente di meglio che stornare l’odio politico e di classe da sé e convogliarlo verso i più poveri, gli ultimi, gli immigrati, quelli che hanno deciso di sedersi al banchetto della società italiana senza avere i requisiti per farlo. In alternativa, il secondo obiettivo siamo noi stessi, italiani di classe (più o meno) media che a vario titolo ci consideriamo invitati a un pranzo in cui non ci vengono servite le portate migliori, in un perfido gioco che ha meno piatti che posti a tavola. Basta lanciare di continuo l’esca, far credere che ogni giorno ci siano case popolari, farmaci gratuiti, posti negli asili nido, opportunità di lavoro sottratte da altri, qualcuno abboccherà.
Risultato: nonostante numerose inchieste giornalistiche e giudiziarie quantifichino ogni giorno la quantità di denaro enorme sottratta alle case dello Stato da politici e imprenditori collusi, una larga parte dell’opinione pubblica identifica nelle persone della sua stessa classe sociale e non nelle elite economiche o nei politici i responsabili del declino economico e culturale della società italiana.
È il ballo dei pezzenti, la caccia allo straniero, con poveri che si accusano a vicenda di sottrarsi risorse, lo sgretolamento dell’idea stessa di comunità, la nascita di pulsioni autonomiste ridicole, come se separarsi e frammentarsi, in una corsa spasmodica verso l’infinitamente (politicamente) piccolo potesse bastare a salvare denaro, piuttosto che dissiparne ancora di più nella moltiplicazione delle poltrone e delle indennità.
È scomparsa la lotta di classe; lo spettro di inizio millennio sono i nemici della porta accanto, quelli che stanno peggio di noi, ma che possono vedere, nell’immaginario collettivo, le loro sorti risollevarsi grazie ad aiuti immeritati di uno Stato considerato iniquo. Nell’aumento dell’insicurezza e dell’odio sociale intraclassista, leelite che comandano in Italia sfruttano ogni giorno di più un salvacondotto che gli permette di continuare a curare i loro interessi privati nel disinteresse generale. L’opinione pubblica, distratta, è affannata a decifrare quale fetta dei loro magri stipendi sia rubata dai migranti, che infrangono quasi ogni giorno le chiglie dei loro barconi sugli scogli di Lampedusa.

fonte: www.camminandoscalzi.it

lunedì 23 maggio 2011

Allergia portami via!

Pollini, graminacee, acari, allergeni, frutti di stagione, polveri… Quanti nemici ha l’allergico?
Troppi! Ma perché?
Io mi domando e dico, prima mica esisteva l’allergia? Era una rarità!
Io personalmente ho sempre sguazzato nei giardini, nei fanghi, nei terreni, nelle polveri, ho sempre respirato arie salubri e insalubri, secche, umide, impollinate o rarefatte e stavo bene! Sempre bene!
E poi, all’improvviso…
Sei allergico alla polvere, pulisci la stanza!
Sei allergico ai pollini chiuditi dentro ad aprile!
Sei allergico alla frutta! Non mangiare più fichi, ciliegie, pesche e quant’altro!
Ma perché?! Perché la gente moderna diventa allergica da adulta?!
Un noto otorino da cui andai mi disse: caro molosso, visto che ti è venuta all’improvviso, può anche andarsene all’improvviso; per cui, ogni anno, prova tutto quello che non puoi mangiare, può essere l’anno giusto.
E io ogni estate, bentelan alla mano, provo tutti i frutti del peccato, rimanendo deluso ogni volta, sempre di più.
Su wikipedia addirittura si legge: “si può dire quindi che siano più colpiti da allergie coloro che appartengono a ceti alti, sono figli unici, vivono in aree urbane e mantengono alti standard igienici.”
Era quello che ho sempre sospettato! Si spiega perché fin quando mi trascinavo nel fango e andavo a recuperare super santos ovali sotto le fiat 127 ero una persona sana!
Poi con lo studio, l’affermazione dell’io, il computer, il telefonino, il comfort, le auto di lusso, l’attico a Manhattan, tutto è cambiato! Come sempre, quando si perdono di vista le cose semplici ma basilari, come la natura, ne si pagano le conseguenze!
“Ma che palle, possibile che gira e rigira arrivi sempre allo stesso punto?!”, potrebbe obiettare un interlocutore; qualcuno potrebbe addirittura dire che si tratta di complottismo, altri di disfattismo, altri di mera polemica, altri ancora di inutile pensiero su cose ineluttabili.
Resta il fatto che l’allergia è una cosa brutta e fastidiosa e piano piano tutti, anche tu che ti vanti di non soffrire mai il cambio di stagione, ne faranno parte.
Resta il fatto che prima non era così diffusa e che quando c’erano le mezze stagioni era piu’ facile prevedere quando iniziare la terapia di zirtec, eventualmente!
Ovviamente a pensare male non ci si sbaglia mai, diceva forse Andreotti… E quindi pensate a finosoft… Pensate a finochic… Pensate a chi produce zirtec, bentelan, XYZAL, fans, chips, chops e strogedi.
Niente è da escludere dove gli stallieri dei presidenti del consiglio sono dei mafiosi.

Il molosso

lunedì 9 maggio 2011

La cultura del sopruso

Parafrasando un termine degno del miglior Mario Merola, per sintetizzare al massimo la situazione dell’individuo nella società odierna, ci conviene usare la FISOLOFIA.
L’attuale momento storico ci inserisce in un panorama vastissimo di correnti di pensiero, di mode, di fazioni, di razzismi, di proselitismi e di tantiismi che tendono a scomporsi sempre di più. Scomponendo scomponendo arriviamo a lui, la causa di tutto, l’individuo. Il singolo individuo per la precisione. Questa visione (sulla quale il buon Bauman ha scritto più e più “libri liquidi“) rende subito chiaro che questo individuo individuocentrico ha perso di vista il contatto con la realtà associativa, troppo preso dal suo io e dai suoi problemi.
La società ha perso la sua funzione di culla e di obiettivo per l’uomo che, invece, per soddisfare bisogni secondari, diventa ostile e si chiude in sé stesso.
Forse alcuni non diventano ostili, ma piuttosto distaccati, e sperano, come urla Peter Finch di Quinto Potere di essere lasciati in pace nei loro salotti, con i loro tostapane e le loro tv.
Tostapane a parte questi uomini, ostili o impauriti che siano, tendono all’isolamento e al tentativo perenne di affermare la propria persona e personalità a tutti costi e in tutti i campi.
Questo si tramuta in comportamento antisociale. Si tramuta in arrivismo, si tramuta in prepotenza, si tramuta in arroganza, si tramuta in sopruso.
Mi si potrà dire che il mondo è sempre andato così, che ovunque è così, ma non sono d’accordo.
Si può partire dall’esempio banale e addirittura fenomenologizzato: l’automobile.
L’uomo nell’automobile si trasforma, diventa improvvisamente re della strada e improvvisamente non può sopportare che qualcuno gli passi davanti. Anzi è lui che cerca di passare davanti agli altri con manovre brusche e pericolose, è lui che in autostrada si mette a due centimetri di distanza dall’auto davanti lampeggiando continuamente sulla corsia di sorpasso “perché questo fesso deve lasciare passare quelli più veloci” e così via.
Ma l’individuo ormai non ha bisogno della macchina per ostentare la sua superpotenza. Egli si getta nelle strade noncurante delle strisce o dei semafori perché comanda lui.
Non voglio fare l’elenco di cose che vedo vivendo giorno dopo giorno.
Voglio capire come mai siamo arrivati a questo punto. Come mai tutti hanno deciso di vivere al di sopra delle proprie possibilità economiche e mentali.
Perché l’affermazione della propria persona è diventata sinonimo di prevaricazione.
Gli individui che hanno ancora un barlume di luce dentro di loro, che sanno che la società, la condivisione di sentimenti positivi, di rapporti leali privi di invidie, competizione e gelosie, questi individui che (come direbbe Russell B.) sono pronti a conquistare la felicità guardando all’esterno e non solo dentro loro stessi, come fanno? Chi guardano? Quale materiale hanno a disposizione per far funzionare la loro splendida macchina chiamata cervello?
Essi sono costretti e limitati dalla società nella quale sono nati e cresciuti e che accettano spesso come un qualcosa impossibile da cambiare.
L’unico strumento per salvarsi dall’egocrazia imperante è creare piccoli microcosmi, in cui gruppi di persone sviluppino il proprio pensiero e attraverso l’arte della dialettica instaurino relazioni sincere e legami profondi. (rocchiette)
Ma il senso della parola società? Si è dunque perso?
Il molosso e Palumbo

fonte: www.camminandoscalzi.it

lunedì 25 aprile 2011

Esuli, migranti, viaggiatori

    In memoria degli esuli morti in mare e perché tutti quelli che hanno perso o hanno lasciato una patria e una casa possano trovarne un'altra, magari più accogliente di quella che hanno abbandonato
    IN MEMORIA 
    Locvizza il 30 settembre 1916
    Si chiamava
    Moammed Sceab
    Discendente
    di emiri di nomadi
    suicida
    perché non aveva più
    Patria
    Amò la Francia
    e mutò nome
    Fu Marcel
    ma non era Francese
    e non sapeva più
    vivere
    nella tenda dei suoi
    dove si ascolta la cantilena
    del Corano
    gustando un caffè
    E non sapeva
    sciogliere
    il canto
    del suo abbandono
    L’ho accompagnato
    insieme alla padrona dell’albergo
    dove abitavamo
    a Parigi
    dal numero 5 della rue des Carmes
    appassito vicolo in discesa.
    Riposa
    nel camposanto d’Ivry
    sobborgo che pare
    sempre
    in una giornata
    di una
    decomposta fiera
    E forse io solo
    so ancora
    che visse  
    G. Ungaretti

venerdì 22 aprile 2011

L'intensità


Non è l'intensità che cambia, ma il tempo che abbiamo da dedicarle.

Anni e anni fa trascorrevamo ore e ore a parlarne, notti insonni a scrivere e riflettere, annotare ogni sensazione..non c'era un'emozione che non lasciasse
traccia.

Poesie, lacrime, ascolti, musiche..in voli, quei meravigliosi voli a cui davamo spazio e tempo, forma in ogni modalità possibile nelle nostre capacità.

L'intensità ancora la riconosciamo ed è per questo che non ci siamo fermati.

Ancora cavalli e cavalieri in riva a rive che sognamo e attendiamo, con spume di fresco che bramiamo...e lo sguardo all'orizzonte.

Ci raccontavamo di esserci rinchiusi in gusci indistruttibili...inconsapevoli di essere ancora vulnerabili.

Ora ci raccontiamo meno..eppure abbiamo scudi impercettibili.

Corriamo e corriamo, fingiamo e fingiamo, senza aver tempo a volte per concederci uno specchio che ci rifletta la nostra immagine reale, a volte ci facciamo anche un po'
schifo per la tremenda adattabilità ad una società che in qualche modo ci ha involutamente plasmato.

Eppure l'intensità, ancora si, quella la sappiamo annusare, l'avvertiamo nell'aria, nel battito cardiaco...nel timore, quel brivido meraviglioso che stenta a crederci...in quell'istante si manifesta.

Quante volte ancora mentiremo a noi stessi e quante altre ancora ci stupiremo, protagonisti di mille incanti.

Adoro non avere certezza del domani.

Eppure a volte desiderererei avere una mano ferma e ritrovarla ad ogni risveglio...ed avere una costante emozione in perenne evoluzione, magicamente nutrita di albe e nuovi colori.

L'intensità.

Claudia Liccardo

mercoledì 13 aprile 2011

"Non riusciamo a starci dietro"



Non riusciamo a starCI dietro.
Non sappiamo piu' aspettare, ormai è tutto troppo veloce, istantaneo, momentaneo, attimi infiniti se sono di attesa...che si tramutano velocemente in ANSIE...ansie...3000 ansie diverse in pochi minuti....shhhh....silenzio....fermatevi...shhhhh...spegnete tutto e fermatevi.

Pensate ai tempi delle lettere (e non parlo del 1800, ma appena di 10-15 anni fa).....invii una lettera ad un/a amico/a, se è il/la fidanzato/a ci aggiungi anche una goccia del tuo profumo...e quando dopo qualche giorno (Poste Italiane permettendo) arriva a destinazione, il destinatario aprirà quella lettera tanto attesa, semmai l'annuserà.....sarà felice....se vorrà la rileggerà e poi la terrà un po' tra le mani.....poi cercherà e troverà il tempo per fermarsi, prendere un foglio, una penna...e rispondere....mentre lo farà sarà da solo, con un sottofondo musicale semmai....ma non andrà di fretta, non starà facendo altre 100 cose mentre scrive...porrà attenzione verso un'unica cosa, verso una sola persona....poi si prenderà la briga di imbustarla, scriverci l'indirizzo, uscire, comprare un francobollo e spedirla...ed inizierà un'altra dolce attesa per qualcuno..

Tra un'attesa e un'altra c'era la vita REALE di mezzo. E semmai c'erano anche le telefonate, sui numeri di casa (ormai in via d'estinzione), poi sui cellulari (quando ancora non compariva il numero del chiamante se il Gestore telefonico non era lo stesso! Parlo del 1997, 12 anni fa!). Le lettere le scrivevamo per confidarci un po' di piu'...o per risparmiare sulle telefonate addirittura... o per quelli che senti una volta ogni tanto e ti racconti le cose piu' importanti...quelli che anche se non vedi e non frequenti sai che "ci sono" comunque.

Tempo e attenzione per una persona alla volta. Attesa.

Poi è arrivato il cellulare...e in poco tempo è diventato un prolungamento del corpo umano.
Vi ricordate ancora quando chiamavate a casa di qualcuno e a casa non c'era....e il cellulare ancora non esisteva...cosa accadeva?? Lasciavate semmai un messaggio a chi rispondeva o un messaggio in segreteria e si ATTENDEVA...e in quell'attesa eravamo OBBLIGATI a gestire le emozioni anche se dovevamo comunicare alla persona qualcosa di importante...noi SAPEVAMO ASPETTARE...avevamo tempo per pensare di piu'...per gestire i nostri eventuali conflitti...o per non far caso all'assenza di qualcuno. Ma non mi pare che eravamo tutti pazzi isterici. Ci andava bene così..
Adesso se ti chiamano e non prende il cellulare o è spento...chi ti chiama pensa sia successo qualcosa di assurdo, forse ti hanno rapito, forse chissà dove sei, forse sei in pericolo...
Sempre e ovunque REPERIBILI...sempre e ovunque in "condivisione dell'emozione"...succede X, non devi aspettare di tornare a casa per parlarne, neanche il tragitto piu' ce lo facciamo con noi stessi, no...chiami, mandi un sms e subito comunichi l'emozione al/alla tuo/a amico/a...
CONDIVISIONE PERENNE...MALE, MALE MALE..(anche perchè già siamo abbastanza bombardati da messaggi di tutti i tipi, subliminali e non)

Poi l'avvento delle email....addio profumo, addio scrittura, addio colorare carta da lettere, ma ancora sapevamo dedicarci ad una persona alla volta, in maniera diversa naturalmente.

Poi la chat....la chat...quante ne ho vissute e ne vivo con questa amata/odiata chat.
Penso che prima di metterci sotto mano nuovi mezzi di comunicazione debbano darci le ISTRUZIONI PER L'USO. E invece non accade.
La chat...tutti insieme, tutti nello stesso "posto" booooooooooooooooooooooooooooooooooooooooom...attaccati allo schermo ma insieme....
Salto l'uso della chat per conoscere nuove persone perchè mi servirebbe un altro blog per dare il giusto peso all'argomento!

E quindi ci ritroviamo con un programmino che ci "avvicina" ai nostri amici lontani...si...io spesso mi ritrovo ad avere 30 amici on-line nello stesso momento e chatto con una sola persona..tutti gli altri sono lì...ci vediamo, ma nessuno si caga, pero' se vuoi "siamo qui nel caso dovessi averne bisogno"...anche se non parliamo possiamo vedere che musica ascoltiamo, davvero interessante!

La privacy sembra un lontano ricordo.
Poi ci sono naturalmente i social network...ok, si, in realtà volevo andare direttamente a parlare di Facebook, sorvolando MySpace, Netlog e quant'altro... perchè l'ho provato, l'ho VOLUTO provare...e ne sono stata anche coinvolta, a volte troppo.
Facebook è l'emblema forse dell'attuale "società sociale": sempre/ovunque, visibilità, "fatevi i caxxi miei", guardate la mia vita.
L'ho analizzato come meglio ho potuto, poi l'ho lasciato quando ho iniziato a constatare che anche chi aveva il mio numero di cellulare, la mia email, il contatto Messenger...utilizzava Facebook per comunicare, anche se eravamo connessi su Messenger nello stesso momento....il cellulare ormai sembra quasi si usi solo per chi si trova nelle vicinanze o quando si avvicina il momento dell'incontro/rincontro (semmai avvenuto proprio grazie a facebook).

Per un attimo ho pensato: cacchio, Fabook sostituirà chat, email...se non mi connetto non posso comunicare con alcuni amici...ok: ora VOMITO, e poi cancello l'account. E così è stato :) (e tra l'altro a differenza di tutti gli altri siti in cui basta un clic per non esserci piu', qui ci vogliono 14 giorni per cancellare definitivamente l'account e se nei 14 giorni provi ad entrare nuovamente, non sarà piu' cancellato...psicologicamente parlando credo sia un messaggio molto forte: "Sei proprio sicuro sicuro?? Ti lasciamo 2 settimane di tempo per rifletterci bene....sei certo di non voler piu' sapere cosa fanno i tuoi amici vicini/lontani? che foto pubblicheranno domani? Pensaci, puoi tornare ancora indietro....Facebook non ti abbandona con un solo clic!").
Nomi e cognomi reali al 90%, ritrovi è vero amici persi da anni, persone con cui sei andato a scuola, ma anche persone che semmai non hai piu' cercato....te le trovi lì e incuriosito dal sapere che fine abbiano fatto li includi nella tua "rete di amicizie". Ti ritrovi ad AGGIORNARE di continuo la tua vita a una marea di gente...e sottolineo gente perchè alla fine sono "conoscenti"...sembra che sei per strada...e incontri persone che non vedi da anni e accenni ai cambiamenti degli ultimi anni (da che non vi sentite): se con quelle persone ritrovi un feeling semmai vi fermate a prendere un caffè per meglio raccontarvi, altrimenti no, e proseguite (in tutto cio' immaginatevi con un megaalbum di foto in mano! e la lista dei vostri amici!)...poi altro incontro, altre chiacchiere/aggiornamenti....beh: A CHE ORA ARRIVERETE A CASA?
(Intendete la metafora?)
Aggiorni la tua vita, non la stai analizzando, ne fai un resoconto veloce ad un amico di passaggio...
La vita è fuori da questo caxxo di pc! La vita SOCIALE è soprattutto fuori da questo schermo che dopo qualche ora ti dà anche fastidio agli occhi! gli occhi di qualcuno non stancheranno mai i tuoi! C'è una bella differenza, c'è un flusso di emozioni che lo schermo non puo' darti..
In piu' lo schermo spesso diventa uno scudo: "il guerriero dietro lo schermo" spesso è una formichina dal vivo.

Ognuno mette le sue foto, in cui ci sono amici e amici di amici, segnala le persone presenti in quelle foto e nello stesso istante in cui lo fa, a chi è stato segnalato compare la foto nel suo album.
"One family!!"

Sembra che il fondamento degli ultimi tempi sia: ESSERCI inteso comeESSERE ON-LINE, ESSERE CONNESSO e se non lo sei, dare quanti piu' input possibili per far sapere che SEI Lì anche tu...sappiamo tutto di tutti in ogni momento...ma il cervello umano non è mica un pc!!
Non possiamo stare dietro a tutti...non possiamo gestire tutte queste relazioni nella maniera in cui MERITEREBBERO di essere gestite..qualitativamente parlando...erano meglio i tempi delle lettere, anche delle email...e la fase iniziale della chat.
Io le ho provate tutte :)

Questo ESSERCI sempre è come essere sempre al bar, in un bordello, un macello di input, musica, emozioni tramandateci da canzoni, comunicare immediatamente quello che ci succede senza a volte neanche DIGERIRLO per un attimo da soli, prima comunichiamo al "mondo", poi semmai ci pensiamo. Sia chiaro che sto un po' generalizzando, ma ci tengo a sottolineare che non è così per tutti; pero' per molti vedo che è così e mi dispiace.

A volte personalmente sento l'esigenza di NON ESSERCI, di staccare tutto...e quando lo faccio sto meglio...è per questo che ne scrivo, per darvi il mio punto di vista e darvi la possibilità di pensarci se non l'avete mai fatto.

DOSARE
Io doso
Tu dosi
Egli dosa
Noi dosiamo
Voi dosate
Essi dosano"


lunedì 11 aprile 2011

L'uomo in più: questo sconosciuto.


L’uomo in più.
Un film che è un capolavoro assoluto.
Un film che chi lo ha visto lo ha amato.
Un film che è troppo sconosciuto.
Non si può non rendere onore a Sorrentino per questo film.
Questa non è una recensione, è un osanna a questo lungometraggio.
Due personaggi, stesso nome, caratteristiche e caratteri opposti.
Due modi diversi di affrontare il successo e il declino, due persone fondamentalmente deboli, insicure, come la maggior parte di noi, che affrontano la vita come meglio sanno fare. La vita ci pone davanti a delle scelte e delle situazioni che affrontiamo quotidianamente e cerchiamo di farlo alla nostra maniera, pensando che sia quella migliore.
Con i nostri stessi occhi è difficile guardare i nostri errori e ancora di più ammetterli.
Con i nostri stessi occhi è difficile capire chi è la persona di cui ci possiamo fidare, e ancora più difficile comportarsi sempre in modo che lei si possa fidare di noi.
Ma quando poi ci rendiamo conto di alcune cose, la reazione può essere inaspettata.
Nel film i due personaggi sono interpretati benissimo da Toni Servillo e Andrea Renzi; gesti, abitudini, movimenti ma soprattutto parole e modo di parlare ci fanno entrare in una realtà parallela, dove abbiamo a che fare con uomini veri e non con attori. Tutti i personaggi che girano intorno ai protagonisti sono vicini a noi: li incontriamo nei bar, per strada, in ufficio. Ci sono personaggi viscidi, mediocri e personaggi semplici, forse pure un po’ all’antica, che forse sono la parte più sana della società descritta. La critica spietata al mondo del calcio e dello spettacolo si fonde, senza dover trovare colpi di scena eclatanti, nella descrizione dei momenti di vita quotidiana dei protagonisti, che si ritrovano spesso in completa solitudine. La timidezza e la sobrietà di Antonio Pisapia viene congelata in due parole, quando in televisione riceve i complimenti per un goal in rovesciata lui ribadisce: “mezza rovesciata”. La strafottenza e la spavalderia di Tony Pisapia viene espressa magistralmente nel lungo monologo finale, ma bastano anche qui tre parole, che vengono ripetute varie volte nel corso del film: “mi sono svegliato tardi”, quando motiva alla figlia la sua assenza al funerale del padre.
Il film è un cult per i fan di Sorrentino, ma in generale per i cacciatori di citazioni… Non c’è frase che rimanga dimenticata, non c’è espressione che non diventi icona; l’ambientazione napoletana, inoltre, facilita l’immaginazione (per chi è della zona) nella costruzione della connessione fra i due, punto che fino alla fine lascia in bilico lo spettatore.
Insomma, iniziamo con la meritocrazia: questo è un filmone!
Il molosso

sabato 9 aprile 2011

Complotto, doppio complotto e controcomplotto

Dura la vita del complottista.

In quest’epoca malata diffidare dalla verità ufficiale diventa una virtù. Nel millennio dell’informazione non ci si può più attenere alle notizie dei quotidiani, dei telegiornali, delle radio, del web, del televideo. È tutto uno sporco gioco di interessi. Sfogli il Giornale e la Repubblica e trovi le stesse identiche notizie, seppur poste in ottica completamente opposta.
Ma qual è la verità?
Possibile che la realtà oggettiva possa scindersi in più realtà soggettive creando infiniti universi paralleli? Più leggo e più sono assalito dai dubbi. Le Torri Gemelle? Ma chi le ha fatte crollare? Bin Laden esiste davvero, o è un ologramma? Perché quegli ebrei non sono andati a lavoro l’11 settembre? Ti sembra plausibile che gli americani si bombardino da soli? Hanno dimostrato fisicamente che un aereo non può far crollare un grattacielo, eppure… Beppe Grillo? È buono o cattivo? E Casaleggio? E Travaglio? Perché questi personaggi tacciono su banche e signoraggio? De Magistris? L’ex magistrato si è dato alla politica e ha litigato furiosamente con Grillo. Allora uno dei due mente. Per forza. Obama? Il primo presidente negro come ha racimolato i soldi per una campagna elettorale di un anno e mezzo? È vero che prima faceva rap? Era nella Scull & Bones? E il Bilderberg? E Di Pietro? Da eroe di tangentopoli a federalista convinto? E i rettiliani di David Icke? E Zeitgeist?
Io credo solo al primo e fino al minuto 4.15 della sesta puntata del secondo, poi basta. Il terzo non l’ho nemmeno visto. È tutta una manovra della Siemens. All’inizio tutti sembrano aver ragione e poi sembrano trasformarsi in grandi truffatori. A volte penso che quando questi personaggi diventano troppo famosi vengono comprati per confondere le idee ai loro seguaci. Altre volte penso che sono proprio un coglione a leggere tutte queste sciocchezze. Vado in edicola pieno di pensieri, resto imbambolato davanti la vetrinetta, indeciso se prendere la Repubblica o il Giornale. A chi darò il mio euro? Chi dirà il vero? È una scelta difficile, ho bisogno di tempo. Il giornalaio mi sorride beffardo dall’alto della sua pedana… Lui sa. Nei suoi occhi brilla uno sguardo di sfida, lui mi valuta. Lui è il giudice severo della mia coscienza. Non posso deluderlo. Giornale-Repubblica, Repubblica-Giornale. Basta, ho deciso. Con un gesto risoluto, quasi teatrale, compro Topolino.
N.B. fonte www.camminandoscalzi.it

sabato 2 aprile 2011

The University Deception

Anni spesi a inseguire un obiettivo, giornate trascorse a immagazzinare con rigore metodico date, nomi e formule, pomeriggi in cui un raggio di sole che batte sul bianco della scrivania e sui caratteri della pagina invita a una diserzione che non è altro che inseguire la vita.
Tanti di noi hanno dedicato agli studi universitari una parte importante della loro giovinezza, compressi da un sistema che ci ha rubato tempo e spazio, impedendoci spesso di guadagnare in libertà e apertura di pensiero. Quante lezioni nozionistiche e ripetitive abbiamo dovuto seguire per ottenere le parole che cercavamo, quelle che contavano, dalla bocca di un professore illuminato, però quanto ci hanno regalato quelle parole!
 
L’Università resta (perfino l’Università italiana) una formidabile palestra, ci fa crescere come cittadini, forma il carattere, oltre che le competenze professionali, accresce la consapevolezza di sé.
In un Paese in cui la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 30% (dati ISTAT 2011), l’età media dei laureati specialistici è di 28 anni (dati Almalaurea 2011), circa 2-3 anni in più della media degli altri paesi europei. Quegli anni in più, quel tempo sprecato, è il tempo del nozionismo, dei pomeriggi passati a ripetere ciò che dopo non servirà più, ciò che non migliora la nostra formazione (e forse neanche la nostra memoria a breve termine).

Quei 2-3 anni in più ci rendono più stanchi e più lenti dei nostri colleghi europei, ci rendono meno pronti a cogliere le (rare) opportunità che si presentano.
In un mondo del lavoro paralizzato, e schiavo di clientele e raccomandazioni, i 2 anni persi sono il primo dazio pagato… Ne seguiranno altri: la lentezza a inserirsi, il salario più basso rispetto alla media europea, la minore possibilità di cambiare impiego.
Anni fa si cercò di ovviare a questo gap tutto italiano introducendo il sistema del “3+2”, con una laurea di primo livello e una laurea di secondo, in grado – almeno in teoria – di creare i presupposti per abbreviare il percorso formativo e inserire più velocemente i giovani nel sistema produttivo del Paese.
Cosa resta oggi di quel progetto?

Giovani che terminano il primo ciclo universitario a 23-24 anni, con lauree dai nomi spesso fantasiosi e dalla spendibilità lavorativa il più delle volte nulla. La parcellizzazione degli insegnamenti ha alimentato l’ego ipertrofico di rettori e professori, frantumando di fatto la struttura dei corsi universitari. Non ci è stata risparmiata una sola briciola di nozionismo (semplicemente suddiviso tra i due livelli), non è stato stimolato il pensiero logico, non è stata incentivata realmente la formazione sul campo, è solo cresciuto in modo irrazionale il numero degli esami da affrontare.
In una situazione così complessa si inseriscono le risposte della Politica: un ministro del Welfare che alcuni mesi fa dichiara che i giovani devono essere più umili e accettare qualsiasi tipo di lavoro per far fronte alla crisi. Parole pleonastiche, dato che da anni molti giovani si sobbarcano fatiche che non hanno niente in comune con ciò che hanno studiato per anni.
Chi è pronto, in politica, ad assumersi la responsabilità di una riforma (quella del 3+2) che ha compromesso il destino lavorativo di molti studenti?
Chi è pronto, nei vertici del mondo universitario, ad assumersi le responsabilità di aver spacciato agli studenti prospettive di lavoro fasulle ben nascoste dietro corsi di laurea dai nomi altisonanti?
Chi è pronto, tra ricercatori e professori, a diventare consapevole del grandissimo potenziale umano e sociale del proprio ruolo, rimettendo al centro lo studente e la sua formazione?
E noi… Noi saremo pronti, quando verrà il nostro turno di operare nelle stanze dei bottoni, a non dimenticare ciò a cui pensavamo nei lunghi pomeriggi da reclusi, illuminati dal sole primaverile, e ciò per cui ci battevamo quando affollavamo le aule della nostra amata/odiata Università?

martedì 22 marzo 2011

Il costo sociale della sordità emozionale - parte 1

Bene, eccoci qua a perseverare nei nostri errori.

Ad esempio quello di pensare alle nostre vite.
Si perché noi “giovani” in realtà ben sappiamo che viviamo proprio in periodo di BEEP.
Diciamocelo! Viva il disfattismo!
La benzina costa troppo, i partner sono rompicoglioni, il lavoro latita, gli stipendi risalgono a prima dell’euro, gli affitti sono alle stelle e noi ce ne stiamo buoni buoni a casa di mamma a sentirci dire di metterci il cappello e di pulire la stanza..
Beh, se consideriamo che Alessandro Magno a 33 anni aveva gia’ conquistato mezzo mondo a piedi.. siamo a buon punto!
Ma erano altri tempi..
È dunque una questione di tempi? Dieci anni fa, ad esempio, i film iniziavano alle 20:30 e finivano un paio di ore dopo al massimo. Ora iniziano alle nove e non si sa quando finiscono: come mai? Sembra una sciocchezza ma non lo è. Non lo è perchè se noi mettiamo insieme tutte queste sciocchezze ci troviamo davanti alla nostra generazione (o peggio a quella dei piu’ giovani.) Gli ex bambini (oggi come oggi non saprei come definirli) a cinque anni usano già Playstation e Xbox (per avere qualcosa di simile, dovevamo aspettare anni e anni di stipendi paterni messi da parte), usano telefonini touchscreen e hanno il pieno controllo sui genitori. A dieci anni già hanno fatto esperienze sessuali che noi a quell’età non pensavamo neanche esistessero. Le esperienze sessuali.
I genitori, e quindi faccio un salto indietro a livello di età, sono presi dalla carriera, dal lavoro, il fitness, la linea, l’avvocato divorzista, gli alimenti, l’amante e lasciano i proprio figli a imparare i linguaggi esotici delle badanti che, importandosene ben poco, li lasciano muti e avidi emozionalmente. Noi giocavamo a pallone in strada e loro a Gta (noto videogioco dove lo scopo è uccidere, rapinare, rubare auto, sfruttare prostitute, vendere droga e altri simpatici lavoretti).
Mi sembra ovvio che qualcosa cambi in termini di sviluppo emotivo.
In mezzo ci siamo noi, a metà fra il sano e l’insano. Ben drogati da anni di televisione immondizia, tette e culi, violenza e paura, insicurezza e falsi nemici da combattere, cerchiamo di mantenere vivi quei pochi valori che i genitori nostri, dopo il lavoro, hanno cercato di infonderci.
Ed è lì che ci accorgiamo di essere sempre di meno!
Allora l’etica, la morale, il buonsenso, sistematicamente vengono soppiantante da arrivismo, menefreghismo, egoismo.
Ed è lì che il mondo subisce e paga il costo sociale della sordità emozionale.
Questa mitica frase del buon psicologo è illuminante se pensate a tutte le cose che vi capitano ogni giorno. Sono tutti presi da sé stessi, tutti incapaci di sentire quello che dice e prova il prossimo, tutti a pensare che non bisogna farsi fottere perché tutti ti vogliono fottere. Ed ecco che i capi al lavoro sono insensibili e chiedono l’impossibile sfruttando il proprio potere, gli automobilisti pensano che tutti vogliano mettersi davanti e passare per primi, i cittadini ritengono che i negozianti vogliano imbrogliarli e vendere cose scadenti, gli inservienti pensano che dato che l’attività non è la loro devono fare il minimo indispensabile per portare a casa lo stipendio, le persone in cerca di aiuto vengono ignorate, le regole vengono derogate alla prossima volta… E a furia di pensarla in questo modo, tutti fanno in questo modo. Perché l’ha fatto lui a me e io lo devo fare ad un altro. O peggio: lo fanno tutti, proprio a me devono scoprire?
E noi?
Noi sappiamo che è sbagliato tutto ciò ma quante volte ci sentiamo costretti a farlo?
Quante volte ci mettiamo nei panni degli altri? Quasi mai.
Ed è qui che mi ricollego ai nostri tempi e alla nostra società.
Mi si potrà obiettare: è colpa della nostra società perché la società siamo noi.
E sarei anche d’accordo. In realtà la società viene plasmata molto facilmente dal mondo d’oggi, tramite i modelli che ci vengono proposti.
Sono venti anni che vediamo gli stessi modelli e solo oggi proviamo blandamente a ribellarci. I “vincenti” degli ultimi anni sono imprenditori incalliti, politici ambigui, vecchiacci arrapati, personaggi della tv che non sanno fare nulla a parte mostrare la loro faccia da culo, opinionisti inutili quanto dispendiosi, vallette e veline, donne che fanno successo solo grazie a vestiti e atteggiamenti ammiccanti e donne che valgono… uhm… no decisamente donne che valgono se ne vedono molto poche in tv. E allora i suicidi aumentano, gli omicidi tra minori aumentano, fioriscono le storie al Pc, Facebook diventa la droga quotidiana, aumentano i casi di depressione tra giovani, l’uso di droghe, di alcolici.
Dati statistici alla mano, stamm ‘nguaiat.
Ora un bambino, che  da zero a 20 anni vede questo in tv e non ha sufficienti insegnamenti dai genitori impegnati al lavoro per mantenere la casa, la scuola e tutte le cose alla moda che devono comprare al figlio, come può crescere? L’infanzia è una finestra di opportunità e sarebbe bello se tutti i bambini potessero sfruttarle tutte.
Ma non dipende da loro.
Il molosso
fonte: www.camminandoscalzi.it

giovedì 17 marzo 2011

Vizi pubblici e private virtù

L’ultimo G20, svoltosi nel febbraio 2011 a Parigi, è stato incentrato sulla scelta degli indicatori in grado di valutare le politiche economiche degli Stati, allo scopo ridurre gli squilibri che minacciano la crescita e la ripresa economica.

L’Italia, attraverso il ministro Tremonti, ha caldeggiato la scelta di considerare un indicatore per il debito degli Stati che tenga conto della somma del debito pubblico e degli indebitamenti complessivi dei privati. Questo tipo di analisi dovrebbe migliorare la valutazione dell’economia italiana da parte delle agenzie di rating e scongiurare i rischi di default dei conti dello Stato: notoriamente infatti il nostro paese è caratterizzato da un basso livello di indebitamento privato: gli italiani sono un popolo di risparmiatori, molto più di altre nazioni.
Senza entrare nel merito degli aspetti tecnici connessi alla scelta di un indicatore finanziario di questo tipo, è interessante valutare le conseguenze sociali di un approccio di questo genere. Lo Stato italiano ha iniziato da anni una politica di progressivo smantellamento del welfare, il sistema dei servizi pubblici mediante il quale l’individuo può sentirsi davvero parte di una comunità. La progressiva diminuzione delle risorse destinate a scuola, università, trasporti pubblici, sanità, ha provocato una conseguente diminuzione della qualità di questi servizi, spesso anche per uno scarso controllo centrale sulla effettiva produttività delle strutture coinvolte e dei dipendenti che lavorano all’interno di questi enti.
Il welfare funge da strumento in grado di mitigare le differenze economiche tra i singoli ridistribuendo, sotto forma di servizi, delle opportunità per l’accesso alla cultura e alla salute anche a persone che non potrebbero permettersi le stesse possibilità pagandole attraverso strutture private.
Certificare, a livello statale, la sconfitta di un modello sociale in grado di ridistribuire ricchezza significa decretare la fine delle possibilità di ripianare un debito pubblico che di anno in anno continua a crescere, tagliando le ali a qualsiasi progetto in grado di rimettere in moto l’economia.
Inoltre, si ribadisce implicitamente che la politica di questi anni ha incentivato l’accumulo dei risparmi privati (anche mediante l’evasione fiscale e la gestione non trasparente dei conti pubblici).
Intervenire invece prontamente, mediante un progetto di tassazione delle plusvalenze e dei grandi patrimoni, ottenendo capitali freschi da reinvestire nel welfare, nella diminuzione del debito pubblico e negli incentivi alle imprese che producono reale innovazione, rappresenta la vera sfida – economica e sociale – che i nostri governanti dovrebbero essere in grado di affrontare.
Risorse economiche nuove per valorizzare le migliori risorse umane, in un paese sempre più ripiegato su sé stesso e sul proprio particulare, sempre più vecchio, sempre più impaurito.
fonte: www.camminandoscalzi.it

sabato 12 marzo 2011

F.F.S.S. Ferrovie dello Strazio

Come Ferrovie dello Stato avevamo un grande sogno che oggi si è realizzato: dotare il nostro paese di un sistema moderno che ci consente di riavvicinare l’Italia. I 1000 chilometri di Alta Velocità serviranno il 65% degli italiani”.
Con questa frase, il 5 Dicembre 2009, l’amministratore delegato del Gruppo Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, commentò l’apertura della rete ferroviaria italiana ad alta velocità, comunemente nota come TAV. Secondo l’azienda e tutti i suoi dipendenti, secondo i politici di entrambi gli schieramenti e secondo il governo in carica, l’inaugurazione della TAV avrebbe rappresentato una svolta epocale per il trasporto pubblico italiano su rotaia; si marcava l’accento sull’importanza tecnologica dell’opera, che per la prima volta nella storia avrebbe permesso di percorrere la tratta Napoli-Milano in meno di sei ore. Treni efficienti, puliti, in orario, che avrebbero garantito all’Italia una posizione di tutto rispetto nel panorama europeo del trasporto e della mobilità su rotaia. Sembrava tutto perfetto, tutto da lodare, un’opera che avrebbe offerto realmente la possibilità di accorciare le distanze fisiche tra le varie zone del paese, semplificando e agevolando in maniera notevole la mobilità e lo scambio di persone e conoscenze.
Purtroppo a soli due  anni di distanza, la realtà si è rivelata ben diversa: per pendolari, emigranti, studenti e lavoratori fuori-sede, e anche per tutti coloro che non possono permettersi il costo di un biglietto TAV, l’inaugurazione dell’alta velocità ha segnato l’inizio di un cambiamento profondo nella concezione italiana del trasporto pubblico in treno. Volendo trascurare (ma solo per un attimo) i tantissimi limiti prettamente tecnici e logistici dell’opera rispetto ad altri modelli europei (la scarsa sicurezza garantita ai viaggiatori, la lentezza con cui sono stati condotti i lavori a causa delle infiltrazioni camorristico-mafiose nelle gare d’appalto, le modalità nepotistico-clientelari con cui da sempre le ferrovie dello stato assumono il loro personale – dall’amministratore delegato fino all’addetto alle pulizie -), ciò che ha cambiato radicalmente il concetto di trasporto pubblico su rotaia è stata l’idea di voler investire esclusivamente sulla tratta più redditizia della rete (la Roma-Milano), subordinando a essa tutti gli altri treni e tutte le altre tratte del paese. La costruzione della TAV ha implicato nei fatti (senza alcuna obiezione da parte di aziende e governo) un notevole incremento del costo dei biglietti, un taglio del numero di intercity e regionali (in particolare di quelli a lunga percorrenza), un incremento dei ritardi degli stessi (che sono obbligati, in tutte le stazioni, a dare la precedenza ai treni TAV), ma soprattutto ha cancellato di fatto, per molte fasce della popolazione, il diritto a un trasporto pubblico, equo e accessibile. Voler investire solo sulla tratta Roma-Milano, non curanti del fatto che tutta l’Italia di provincia era ed è tuttora collegata solo da intercity e regionali, ha di fatto reso impossibile per molte persone viaggiare in treno. Con una rete ferroviaria che cade a pezzi e non raggiunge, ancora nel 2011, molte zone del paese, soprattutto al sud, con i treni intercity e regionali che rappresentano un primato nell’Occidente per sporcizia e ritardi (diventando, in alcuni casi limite, veicolo di infezioni), con un servizio ferroviario che, nel suo complesso, lascia ancora molto a desiderare rispetto ai nostri cugini francesi o svizzeri, l’unica priorità di Ferrovie e governo è stata quella di far sì che tra Roma e Milano si arrivasse in meno di cinque ore, a un prezzo inaccessibile per la maggior parte della popolazione (trascurando invece il fatto che è ormai quasi impossibile andare in treno da Modena a Reggio Calabria).
La priorità di un paese realmente democratico dovrebbe essere garantire alla maggioranza della popolazione di poter viaggiare in condizioni decenti a un prezzo ragionevole. La TAV ha creato un’Italia che viaggia veloce e ha il lusso del  Wi-Fi e una seconda Italia che è costretta spesso a trascorrere il viaggio in un bagno sporco e puzzolente (basta prendere un intercity nei giorni caldi delle festività natalizie o pasquali). Giusto per la cronaca: mentre scrivo, il treno su cui sto viaggiando, TAV 9530 del 28/02/2011, partito da Napoli alle 14:50, sta arrivando con 60 minuti di ritardo nella stazione di Bologna, a causa della rottura dei vetri di dieci finestrini. Siamo proprio sicuri che questo sia il modo migliore di gestire le “Ferrovie dello Stato”?

Fonte: www.camminandoscalzi.it

lunedì 7 marzo 2011

Hobby: guardare la tv??

Possiamo anche far finta di niente.. ma è così impossibile.
L’unico modo per sopravvivere è quello di spegnere la televisione (ma serio.)
Ma tutti questi milioni di italiani che affollano i divani e si accalcano davanti ai loro mega impianti dolby per vedersi fiction, tg-fiction e reality-fiction, come fanno?
È possibile che veramente siano interessati a quelle cose che si vedono e si sentono? È possibile che uno Sgarbi faccia alzare l’audience quando dovrebbe nauseare? E non ditemi che è una persona colta, perchè una vera persona colta non fa il pagliaccio in televisione. Ma ho fatto il suo nome perchè tutto sommato, con i suoi tormentoni (capra, culattoni raccomandati) riesce a farsi ricordare per cose dementi e demenziali.
Questo è un argomento trito e ritrito, ma forse è ritrito male.
Ragazzi miei, uomini e donne, amici di maria ma non solo, parliamoci chiaro: è inammissibile che in televisione bazzichino personaggi come Licio Gelli, Moggi, Platinette, Signorini, che parlano osannati dai servetti e dalle servette-starlette di passaggio, passaggio di mano e di macchina verso serate all’insegna della prostiperdizione e della morte delle dignità.
È noioso ed inutile far parlare politici decrepiti e immorali su questioni importanti e fondamentali per il futuro del Paese, politici che passano piu’ tempo alle cene mondane e in tv invece che in Parlamento o in studio a decidere quali possano essere le migliori scelte per il nostro Paese. Politici che fanno ricorso al lifting più che alla lettura e alla cocaina più che al dialogo costruttivo..
Ma mi scoccia anche citarli.
È deleterio che vengano trasmesse pubblicità dove dio (quel famoso dio bianco e buono e giusto che vive in cielo) si fa corrompere per un caffè, dove a qualsiasi cosa (antipulci, succhi di frutta, colla, francobolli e articoli da tabagismo) vengano associate sempre ragazze seminude ed ammiccanti.. il fatto che questo sia il sistema più usato per l’attrazione verso un prodotto la dice lunga sul livello culturale del Paese.
È deprimente scoprire che i migliori programmi sono trasmessi ad orari improbabili, che per mandare certi messaggi bisogna fare programmi incomprensibili ai più tipo blob, che i programmi migliori culturalmente devono essere soggetti sempre a critiche o a stroncature. Mi viene in mente il programma di Baricco di molti anni fa ormai, che si chiamava.. non mi ricordo più, ma giusto perché non se ne è piu’ parlato e non hanno fatto repliche mille anni consecutivi come le isole dei resuscitati e i grandi fratelli di secondo letto.
Pero’ era veramente serio, ma serio.
Allora ecco che interviene la pay-tv dove si puo’ avere tutto, programmi assurdi, documentari inutili, partite di tutto il mondo, approfondimenti su sport mai immaginati pagando ancora.
Ma pagando in che termini?
Il fatto di avere Rai e Mediaset come reti “nazionalpopolari”, a parte il canone, ci sta costando molto:  il futuro dei nostri pargoli e il presente delle nostre pargolette mani, ormai tese ad arraffare soldi e toccare corpi di volontarie donne oggetto.
Ci sta costando l’abbrutimento della nostra personalità, l’aumento dell’aggressività, della competitività fra civili e fra incivili,
l’appiattimento del discorso culturale, la perdita di valori sani a scapito di quelli insani,  la violenza gratuita e l’amore a pagamento.
Ma non voglio dare tutta la colpa alla televisone ed ai suoi autori, alla fine basta saper scegliere. In Italia ultimamente non si può scegliere molto.
Tutto sommato le reti private regionali danno buoni spunti: film di Totò, i gol del Napoli degli anni di Maradona possono bastare come razione quotidiana di tv.
“Tutto il resto è piscio” (cit.)
Il molosso
 Fonte: camminandoscalzi.it